Turismo nel Paesaggio rurale: Pantelleria, muretti a secco, profumo di capperi e passito...
Attraverso la seconda uscita della rubrica "La bellezza del Paesaggio rurale italiano" questa volta scopriamo Pantelleria: Bent el-Rhia come la chiamavano gli Arabi, "figlia del vento", isola magica, dispersa tra la Sicilia e l’Africa. Una bellezza selvaggia, solitaria...

Dammusi (le tipiche case cubiche in pietra) dalla raffinata e geniale architettura, rocce nere e immensi prati fioriti. muretti a secco allineati, filari di zibibbo profumati, ginestra, distese di capperi, fichi d’India che fanno capolino da ogni dove, olivi bassi, Scirocco e Maestrale.
E chiaramente il mare del Canale di Sicilia che insinua riflessi di smeraldo e blu cobalto: coste ricche di insenature e di punte, di cale e di grotte dominate da rocce scoscese, paradiso dei sub.
Questa è Pantelleria, Bent el-Rhia come la chiamavano gli Arabi, ‘figlia del vento’, isola magica, dispersa tra la Sicilia e l’Africa.
Questa è la bellezza selvaggia, solitaria, dell’isola aspra e ventosa, tutta un saliscendi tra vulcani spenti (kuddie), colate laviche e silenziose vallate. Una terra generosa di profumi e colori.

La tradizionale coltivazione della vite ad alberello, che avviene in condizioni climatiche molto dure, è tramandata attraverso istruzioni pratiche e orali in dialetto locale da generazioni di vinai e contadini dell’isola di Pantelleria, dove 5000 abitanti coltivano piccoli lotti di terra usando metodi sostenibili.
La tecnica di coltivazione, abbastanza articolata, prevede diverse fasi e si conclude con la vendemmia che inizia alla fine di luglio.
L’UNESCO ha inoltre iscritto “L’Arte dei muretti a secco” nella lista degli elementi immateriali dichiarati Patrimonio dell’umanità in quanto rappresentano “una relazione armoniosa fra l’uomo e la natura”.
Tra le regioni italiane promotrici della candidatura c’era Pantelleria, le Cinque Terre e in Puglia il Salento e la Valle d’Itria. Si tratta di una tecnica millenaria che ha avuto nel corso della storia e a seconda delle regioni utilizzi diversi.
Grande merito va ai contadini che sono riusciti un pò ad addolcirla, strappando alla roccia e alle pietre strisce fertili di terra, sostenute dai maestosi muretti a secco. Sono contadini coraggiosi, guerrieri, che, con caparbietà, hanno trovato il modo di catturare il sole e di convogliare le poche piogge nelle cisterne che il ‘passiaturi’ , la terrazza adiacente al dammuso, mette al centro di tutto, come un tesoro.
Per non parlare ‘du jardinu’, il giardino circolare, una torre cilindrica, quasi magica, che protegge con le sue spesse mura una sola pianta di agrumi, aranci, cedri o limoni, abbracciandola e riparandola, così, dal vento ostinato.
Andai a scoprirla, per la prima volta, nel 1995 e quando l’aereo, partito da Palermo, si avvicinò alla Perla nera del Mediterraneo, mi parve di vivere un sogno: un mare di un blu spettacolare, con riflessi incredibili, spingeva le sue onde su rocce nere dalle forma bizzarre e divertenti; antichi palmenti e dammusi disseminati in una campagna disegnata, coltivata e perfetta. Quello che mi colpì fu il contrasto dei colori su quel fondale nero, che era la roccia lavica, ferma, per niente ribelle: sembrava un quadro dove il pittore si era sbizzarrito a ricercare quella cromaticità perfetta tra il verde di capperi e zibibbo, il giallo dei limoni dei ‘jardini’, il bianco delle cupole dei ‘dammusi’ .
Eppure, sono nato sotto il pennacchio allegro e intraprendente dell’Etna, tra giardini di limoni e aranci e il mare, a due passi dalle rocce di Polifemo di Aci Trezza; il mio occhio è stato sempre abituato alle meravigliose stranezze del paesaggio vulcanico dell’altra mia isola. Ciononostante, quella visione concentrata e straordinaria sulla “figlia del vento” mi diede all’improvviso un “coup de coeur”, un colpo al cuore, mi aveva subito conquistato!
La Natura autentica ti consegna una Bellezza uguale, ti dona felicità, ti fa battere il cuore. Non aspettatevi grandi promenade, viali di alberi e di palme, piazze piene di fiori e aiuole; no no, qui regna la semplicità, il silenzio, la spontaneità in ogni cosa; il tempo è dettato dalla natura e dalle rotazioni delle stagioni, dal sole e dal vento: c’è il tempo della pesca, della semina, del vigneto, della vendemmia e dell’appassimento delle uve, il tempo dell’essiccazione sulle canne dei pomodorini aperti a libro e della conservazione dei “pennuli”, appesi all’ombra, da utilizzare in inverno, c’è il tempo gravoso della raccolta dei capperi, un lavoro faticoso che ti spezza la schiena e le gambe, all’alba, prima che il sole sorga e diventi insopportabile.
Si viaggia su poche strade assolate e incantate, su sentieri misteriosi e invitanti, tra profumi inebrianti, vapori sotterranei e la salsedine di un mare incantato spinto dal vento africano, lì a poche miglia.

Ma il bello è che, se non vuoi assistere allo spettacolo del vento del Nord, il Maestrale, in poco tempo ti trasferisci a Cala Martingana, Cala Tramontana o Valle della Ghirlanda, dall’altra parte dell’isola, e ti proteggi. Analogamente quando soffia lo Scirocco da Sud-Est, ti porti verso Mursia o il Porto di Scauri. E il gioco è fatto.
Anche i contadini panteschi l’hanno capito e sono proprietari di tanti piccoli fazzoletti di terra, distanti tra di loro. “Meglio fare più fatica a lavorare pur di assicurarsi un raccolto sicuro. Se la coltura va male da una parte per la siccità, si raccoglie da un’altra, dove la terra è rimasta più umida, come nelle zone più alte dell’isola”, dicono.
A proposito, l’isola ha la sua vetta nella Montagna Grande (836 m.) e poi le 24 kuddie che sorgono attorno ad essa: sono gli antichi crateri che l’hanno fatta sorgere dal mare. Bisogna perdersi tra questi sentieri odorosi perché serve a tuffarsi nella storia di Pantelleria e della sua gente fiera e orgogliosa.
Sul costone della Montagna Grande sei invaso dai profumi: pini marittimi, boschetti di lecci, querce ti accompagnano alla scoperta dell’origine vulcanica di questo spettacolo straordinario. E arrivi a Monte Gibele, il più grande dei crateri; alle pendici c’è la “Favara Grande”, con i caratteristici sbuffi di vapore che fuoriescono tra i crepacci, vapore acqueo che tocca quasi i 100 gradi; poi ci sono i cosiddetti bagni asciutti, grotte naturali con emissione di vapore, qualche volta usate per curare i reumatismi; ma anche sorgenti termali (caldarelle) che fuoriescono in vari punti dell’isola con temperature che arrivano ai 70 gradi.
E proprio le sorgenti termali alimentano il suggestivo Lago di Venere, mezzo chilometro di diametro, due metri sopra il livello del mare. Nelle sue acque si trovano fanghi solforosi a 40 gradi di temperatura, che spalmati addosso ti trasformano in una mummia vivente.
Ma spostiamoci sulle coste, e percorriamo “la perimetrale”, la strada che fa il giro dell’isola, tra l’incanto del blu, laggiù, quasi irraggiungibile, terrazze profumate di zibibbo, dammusi e buganvillee. È un paradiso, un paesaggio scenografico di magia, dove regna il silenzio e la natura ti propone quanto di più intimo e autentico possa offrirti. Devi percorrere questa meraviglia e ogni tanto fermarti per odorare, assaporare, toccare, per entrare in contatto con la terra, con le rocce, con le piante e con i fiori, per parlare con i contadini, anima dell’isola, per ascoltare quel silenzio piacevole che dialoga col mare.
Sfilano gli interminabili muretti a secco dei terrazzamenti, i villaggi abbarbicati di araba memoria, Khàmma, Kattbuale, Rekhale, Bugeber, incontri l’Arco dell’Elefante, un immenso pachiderma di pietra lavica adagiato sul mare, uno dei punti più turistici dell’isola: di fronte c’è Cala Levante, il luogo più frequentato per la balneazione; dall’altra parte del promontorio ecco Cala Tramontana, lo scalo da dove partivano motovelieri carichi di zibibbo, mosto e capperi per raggiungere i mercati delle coste vicine.
Arrivi a Punta Spadillo, col suo faro in bilico tra le rocce lunari, testimone di tanta bellezza, un paesaggio poetico e isolato, dove le rocce si tuffano a strapiombo nell’acqua, formando calette silenziose e incontaminate, grotte spettacolari che rispecchiano ombre e suggestioni sull’azzurro infinito. “Non credo esista al mondo un posto più adatto di Pantelleria per parlare della luna”, scrisse Gabriel GarcÍa Marquéz, nel 1969, quando Neil Armstrong calpestò il suolo lunare.
Puoi fare un bagno termale nelle vasche di Gadir, borgo di pescatori tra le terrazze di zibibbo, e, appunto, luogo di sorgenti di acqua calda. Una meraviglia! Scendendo verso Sud, senti l’odore della macchia mediterranea: qui è il regno del rosmarino, della lavanda, del timo selvatico e dei terreni coltivati ad olive; la scogliera è alta e seducente, distante dalla perimetrale. Le uniche zone di mare raggiungibili sono Martingana, dal clima mite con coltivazione di primizie e Balata dei Turchi, 400 metri più sotto, una pietra piatta di grosse dimensioni che scivola a mare: due chilometri in picchiata sullo sterrato, dove il guardrail sono cespugli di ginestre profumate; e arrivi giù in Paradiso, un tuffo dall’ultimo scoglio levigato per lasciarti trascinare dalla corrente e riflettere se sei nel posto più bello del mondo.
Siamo nel punto più a Sud di Pantelleria; risaliamo la costa che guarda a Ovest, superiamo il Salto della Vecchia, suggestivo ma inquietante, la leggenda narra di una vecchia che vi si sia gettata col suo asino; rientriamo verso l’interno, verso la Valle di Monastero, con la tranquilla e verdeggiante borgata di Rekhale; tra lentischi e fichi d’India; da qui, in venti minuti di sentiero, puoi raggiungere il bagno asciutto di Benikulà, una piccola grotta con sbuffi di vapori a 60 gradi che ti vengono contro, ti avvolgono, misteriosi. È il respiro profondo e remoto del vulcano e tu, lì dentro, accovacciato sui sassi, respiri con lui. Poco distante, ecco Favara Grande, ma per arrivarci il percorso è difficile e impegnativo.
Sparsi qua e là, tra la Valle della Ghirlanda e la Valle di Monastero, è l’agricoltura che disegna il paesaggio: sono i filari bassi (per difendersi dal vento) di uva Zibibbo, ordinati dalla mano sapiente dell’uomo, che creano panorami indimenticabili. Acini grossi e dorati, figli di questa terra vulcanica fertilissima, che hanno dentro tutto il calore e il profumo del sole d’estate. Grappoli pronti ad essere essiccati al sole, che aspettano il vento di scirocco per creare quel Passito, tanto famoso, dagli aromi intensi e delicati, che gira il mondo!
E, sparsi qua e là, come semi buttati da una mano gigante, i dammusi, antiche abitazioni contadine, ricovero per attrezzi e animali, col tetto a cupola, oggi rimessi a nuovo e diventati preziosi.
Punti ancora verso Nord sul mare, verso il centro abitato più importante, oltrepassando Punta Fram e attraversando uno dei posti più caratteristici dell’isola, Mursia, probabilmente l’approdo dei primi abitanti, alla ricerca della preziosa ossidiana, la dura pietra lavica con cui si fabbricavano armi e strumenti da taglio. Qui devi arrivare all’ora del tramonto e ti lasci andare a innumerevoli scatti tra l’arancio-viola del cielo, il rosso infuocato che si addormenta e il blu intenso del mare: spettacolo dalle Kuddie Rosse.
Ancora qualche curva ed ecco il centro abitato di Pantelleria, “il Paese”, costruito attorno al medievale Castello Barbacane. D’inverno qui tutto è silenzio e tranquillità, in estate è un turbinio di suoni e voci. Non è difficile incontrare personaggi famosi del mondo del cinema e dello spettacolo… e poi il porto e i suoi pescatori, chi arriva e chi parte.
Ma non puoi lasciare l’isola senza aver visitato una cantina che profuma di Passito o un’azienda agricola dove giganteggiano i Capperi in salamoia, che, dopo un raccolto faticoso, vengono tenuti sotto sale dentro appositi mastelli e poi portati a maturazione. La scelta tra piccoli, medi o grossi dipende solo dall’uso che se ne farà in cucina. Ma puoi trovare tutti i sapori dell’isola, l’origano, i pomodori secchi, il peperoncino rosso piccante, marmellate e lenticchie, l’uva passa sotto spirito. Tesori di bontà da portare a casa e poi assaggiarli durante l’autunno o in inverno, quando fuori dalla finestra non vedrai più la meravigliosa Valle di Ghirlanda o il Lago di Venere, ma, almeno, avrai l’illusione di ritornarci.
Reportage di ANDREA DI BELLA
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