Economia & Lavoro

Esistono veri e propri limiti nei confronti dello smart working

Sabato, 19 Mar 2022 - 1 Commenti

Riceviamo dall'astigiano Marco Castaldo di Uniti Si Può e volentieri pubblichiamo.

Smart working per tutti (?)
Ieri mattina ho partecipato all’interessante convegno organizzato dalla Cgil-Funzione Pubblica dal titolo: “Smart Working e digitalizzazione nella Pubblica Amministrazione. Opportunità e rischi della Rivoluzione digitale”.

Autorevoli relatori hanno evidenziato come la pandemia abbia rivoluzionato il lavoro, le sue modalità di esecuzione e i suoi tempi. Ciò che fino a ieri sembrava impossibile, ovvero portare il lavoro a casa del lavoratore e non quest’ultimo nel luogo dove si svolge l’attività lavorativa, nell’arco di poche settimane è diventato realtà e migliaia di lavoratori hanno conosciuto il lavoro a distanza, l’home working.

Non che non se ne conoscesse l’esistenza, infatti, già nel lontano 2002, lavorando nella pubblica amministrazione, mi avvalsi di questo strumento per poter conciliare la mia attività lavorativa con la necessità di disporre di una “confort Zone” ancor più indispensabile per una persona portatrice di disabilità. Già allora, mi accorsi dei rischi di questa nuova modalità di intendere il lavoro. Nell’immaginario comune si pensa che chi lavora da casa, in realtà, lavori poco e con poca attenzione, mentre accade esattamente il contrario perché i tempi del lavoro si mescolano facilmente con i tempi del riposo o di libertà, aumentando la produttività e diminuendo fatica e stress.

Esistono anche altri rischi quali l’esasperato isolamento e la conseguente impossibilità di acquisire competenze e capacità di interazione e collaborazione con colleghi e figure professionali, il “gender gap” che genera disuguaglianze tra uomo e donna rischiando che quest’ultima sia penalizzata nell’ambito della gestione dei tempi del lavoro e della famiglia.

Esistono, inoltre, anche veri e propri limiti nei confronti dello smart working che generano differenza tra cittadini di serie A e di serie B. Primo fra tutti, il limite infrastrutturale o digital divide determinato dal fatto che i territori non sono serviti ugualmente dalla banda larga impedendo, di fatto, a quegli abitanti di accedere allo strumento in questione.

Ma esiste anche quello che potrebbe essere definito “ability gap”, ovvero la non accessibilità delle piattaforme informatiche e telematiche da parte delle persone portatrici di diverse disabilità. Purtroppo, ancora oggi, dopo innumerevoli disposizioni legislative, buona parte dei siti Web e dei relativi servizi telematici non risultano completamente fruibili da tutti allo stesso modo. Pensiamo agli ipo vedenti oppure a coloro che hanno difficoltà ad utilizzare i sistemi di puntamento convenzionali.

Per queste persone, lavorare da casa, potrebbe essere una grande occasione di integrazione professionale se ci fosse la corretta sensibilità e filosofia nella progettazione degli strumenti informatici, senza dimenticare comunque l’importanza della integrazione e dell’interazione con gli altri soggetti che compongono la società attiva e produttiva del Paese.

C’è ancora molta strada da percorrere per trasformare l’”Home working” in “smart working” e digitalizzare non significa semplicemente trasformare il dato analogico in digitale, bensì pensare ed ingegnerizzare soluzioni e piattaforme informatiche per fornire servizi a tutti i cittadini che siano di facile utilizzo, indipendentemente dall’età, dalle condizioni fisiche e che non siano rivolte unicamente ai “nativi digitali”.

Marco Castaldo, Uniti Si Può, Articolo Uno