Economia & Lavoro

Antonio Coscia di Costa Catterina, a Castagnito: quando produrre vino vuol dire felicità

Scritto da Andrea Di Bella Lunedì, 2 Mag 2022 - 0 Commenti

“Nunc est bibendum” è un emblema espressivo posto su una serie di mattonelle in cortile prima di entrare in sala degustazione. “Ora bisogna bere” è la sua traduzione. La frase di Orazio ci invita ad entrare in un’atmosfera di felicità, fatta di paesaggio, di cultura, di emozioni in bottiglia.

Io sono bianco dentro, è l’Arneis, sicuramente, il vino tra i diversi che produciamo che mi dà maggiori soddisfazioni, però devo ammettere che il nostro Nebbiolo e con l’avvento del  Roero, ho avvertito delle sensazioni nuove, emozioni inattese, è stato come avere scoperto un tesoro che avevi lì a portata di mano, di cui non ti eri mai preoccupato, che non avevi mai sfruttato. Avere la pazienza di aspettare 36 lunghi mesi un vino che riposa in una botte di 36  ettolitri e poi trovarselo nel calice con i suoi profumi, i suoi sentori, le sue fatiche, per uno che ama i bianchi come me, è pura emozione. Noi non siamo produttori di vino ma imbottigliatori di emozioni”.


Ad accogliermi così, col sorriso e il cuore in mano, è Antonio Coscia, vignaiolo e titolare, assieme alla moglie Antonella Arrigo (nella foto), di Costa Catterina, azienda agricola, Wine & Rooms, di Castagnito (Cuneo). Ci troviamo nelle meravigliose Terre del Roero, in località Dijun, con vista su Castellinaldo, il paese più vitato del Roero.

Stiamo risalendo le pendenze dei filari di San Quirico (con un po’ di fiatone n.d.r.), e, a perdita d’occhio, il fantastico paesaggio vitato di Castellinaldo e Vezza d’Alba. Stiamo raggiungendo la Cascina di San Quirico, luogo molto caro ad Antonio perché a cavallo degli Anni 40-50 era condotta dal papà e dallo zio, a mezzadria, con l’intero versante Sud destinato a Nebbiolo. Attorno a noi, oggi, filari allungati di Arneis.

Antonio mi spiega le esposizioni, le caratteristiche del terreno e le pendenze del territorio attorno a noi e, quindi, le destinazioni dei vitigni impiantati. “A Nord, terra bianca, molto più inerbita, mentre più a Sud terreno più calcareo, con carenza di vegetazione e impianti destinati a Barbera e Nebbiolo. A ciascuno il suo, le caratteristiche della terra dettano il vitigno da coltivare”.

Tutt’intorno, linee morbide e sinuose che, in molti tratti, contendono  terreno ai coltivi di frutta e ai noccioleti. Dalla Cascina San Quirico la vista spazia su geometrie vinicole di rara bellezza, sui castelli e le torri medievali, incoronati dalla catena delle Alpi, sui borghi di sommità, sui burroni selvaggi e inaccessibili delle Rocche del Roero.

È un territorio che si fa amare, fatto di dolcezza e rudezza, di terre bianche soffici e sabbiose ricche di fossili marini, destinate a produrre vini ad ampio spettro aromatico ed intrigante finezza.


Antonio risale il sentiero, fiero, orgoglioso, gli sto appiccicato per non perdere un attimo della sua narrazione, mi presenta l’ultimo fazzoletto di terra piantato ad Arneis l’anno scorso e, con voce a tratti interrotta dall’emozione, mi confessa:  “Vedi, avere calpestato questa terra, questi sentieri, attraversato questi campi, avere accarezzato tante volte queste vigne, sin da bambino, e accorgerti che oggi sei arrivato a questo punto, che sei progredito portando avanti una tradizione di famiglia, tutto questo ti fa sentire un grande, ti rende veramente felice. Noi abbiamo due figli ancora ragazzini, loro non devono essere grandi all’occhio del mondo, ma devono sentirsi grandi davanti a noi, alla loro famiglia. E quando i miei figli mi dicono ‘papà sei un papà eccezionale’, allora lì ti si apre il cuore!”.

Finalmente, dopo un’oretta di cammino arriviamo sull’aia della cascina, oggi di proprietà della Curia di Castagnito. Incontriamo un anziano seduto sull’aia, un fazzoletto rosso attaccato al collo, che incornicia una barba lunga e bianca, un personaggio che Bernardo Bertolucci avrebbe fatto recitare nel film Novecento. Qui aiuta un po’ la baracca, fa il sacrestano, tiene d’occhio la cascina, fa qualche lavoretto in  campagna, coltiva magnifici fiori.


È amico di Antonio, lavorava con suo papà che non c’è più. “Era un operaio come me – dice con voce fioca -. Ai miei tempi si lavorava ‘per arivé a la fin del mèis’, ci si sforzava di non sudare troppo. Ho sempre amato queste colline, io abito ad Alba ma appena posso vengo qui, mi piace leggere, in mezzo a questa solitudine e bellezza. Da qualche giorno sto leggendo l’ultimo saggio di Vito Mancuso, il teologo, ma proprio in questi giorni ho finito il libro (provocatorio n.d.r.) di Michela Murgia, “Istruzioni per diventare fascisti”, e devo ancora finire di leggere Gino Strada”.

Un incontro casuale in mezzo a questo silenzio e a questi colori primaverili, in mezzo alla cultura, direi, il che non guasta mai. Qui stai bene, ti ritrovi con te stesso, vedi e senti cose che ti danno gioia e ti fanno anche riflettere, e non è poco.

La degustazione, che da lì a poco andrò a fare, me la devo sudare, nel vero senso del termine. In compagnia di una guida naturalistica, si percorre il Sentiero dei Frescanti. Obiettivo? Conoscere le ricchezze architettoniche e artistiche del Roero, attraverso oltre sette secoli di arte e storia svelando una serie di affascinanti e preziosi affreschi dipinti tra il X ed il XVIII secolo.

Un po’ in macchina, un po’ a piedi si raggiunge, nel territorio di Castellinaldo, la Cappella di San Servasio. Siamo su un bricco spettacolare e vista mozzafiato. Da qui si scorge un paesaggio agrario suggestivo, fatto di vigne, di frutteti, noccioleti, di boschi. I borghi, muti e arroccati sui crinali delle colline, convivono con torri, castelli e chiese.

Il mistero delle origini di questo luogo di culto e degli affreschi crea un’atmosfera intima e riflessiva, che lascia parecchi punti interrogativi, però. Starei qui ancora qualche ora, in compagnia di quella farfalla gialla che sono riuscito a fotografare, e che mi gira attorno, aspettando, magari, i colori del tramonto, “il linguaggio dei sogni” come li definiva  Gauguin.

Dopo questa poesia, torno in sala degustazione, in compagnia di Antonio. Si passa da un’emozione all’altra, in questo territorio, in breve tempo, e questo è un gioco entusiasmante.


La degustazione
Il vino deve rispecchiare la mia personalità”. Esordisce così Antonio Coscia. “Devo riuscire a trasmettere quello che c’è nei miei pensieri, devo arrivare al cuore del cliente finale. Fino a quando non sono diventato papà i miei figli erano loro, i vini”.

Si parte con il Roero Arneis Docg Arsivel 2020. Ha ragione Antonio, Arsivel, in dialetto piemontese, può voler dire persona simpatica ed estroversa, un personaggio.  Il terreno sabbioso da cui proviene gli conferisce profumi eleganti, non aggressivi. Al naso si sentono fiori bianchi. In bocca, fresco, molto minerale, erbaceo a tratti, buona acidità. Si presta all’invecchiamento.

Si passa al Roero Arneis Spumante Brut Docg 2018. Uve Arneis in purezza e metodo charmat. Vendemmia anticipata per ottenere eleganti note di freschezza. Profumi puliti, riconoscibili. Sapore secco, bilanciato, armonico, non invasivo. Struttura raffinata e bollicine persistenti. Bassa acidità, pulito, indicato per le occasioni di festa.

Si prosegue, ora, col Nebbiolo d’Alba Superiore Doc 2018. Proveniente da vigneti esposti a Sud e Nord-Est, su terreni sabbiosi e calcarei. Mette in evidenza una buona struttura e profumi intensi e delicati. Indica sensazioni gusto-olfattive di qualità ed eleganza, armoniose ed equilibrate. Dopo essere stato imbottigliato, fa un invecchiamento in bottiglia di 6 mesi.

Si continua con la Barbera d’Alba Superiore Doc 2018. Devo dire che, assieme all’Arneis di apertura, lo prediligo. Si presenta austero, con sensazioni aspre e amare, avvolgenti. Ben strutturato. Imbottigliato dopo 2 anni dalla vendemmia, viene affinato in botti di legno. L’etichetta è molto esplicativa e colorata, una mano che solca la terra e la ama. Un tripudio di sensazioni ed emozioni. Una curiosità: è il vino dell’azienda prediletto dal Principe Alberto di Monaco.

Si chiude col Roero Docg 2018. Colori, profumi e gusto sono molto accentuati, ma delicato nei sapori. Viene affinato in legno, e imbottigliato a 3 anni dalla vendemmia. Con questi sentori di marmellata di prugne, molto piacevoli sono pronto per tornare a sognare.


Prima di lasciare questa armonia di gente e di luoghi, mi soffermo in cortile per leggere, ancora una volta, al centro, la frase di Orazio, tratta dalle Odi: “NUNC EST BIBENDUM”, “Ora bisogna bere”.

La frase completa è “Nunc est bibendum, nunc pede libero pulsanda tellus”, “Ora bisogna bere, ora bisogna far risuonare la terra con il piede libero (= danzare)”. Io ho danzato, a suon di Boogie Woogie, sulle note americane, emozionanti e ingenue della chitarra di Matteo, uno dei due pargoli di Antonio e Antonella.

Ora tocca a Voi.

                                                                               Andrea Di Bella